Le prime emozioni veramente degne di ricordo che ho passato in montagna non riguardano la mia infanzia, bensì il mio periodo adulto, quando ho riscoperto l’essenza della montagna.
Avevo poco più di vent’anni ed il mio passatempo e principale passione era la musica; in quel periodo il mio sogno era suonare sui grandi palchi con il mio gruppo rock e quando purtroppo i concerti iniziarono a ridursi, mi ritrovai a riempire i week-end andando sempre più spesso in montagna, da solo o con qualche amico. Inizialmente non c’era la spinta dei trekking lunghi o delle vette più interessanti, mi ero semplicemente reso conto di essere incredibilmente tranquillo e rilassato ed in generale di stare bene.
Avevo poco più di vent’anni ed il mio passatempo e principale passione era la musica; in quel periodo il mio sogno era suonare sui grandi palchi con il mio gruppo rock e quando purtroppo i concerti iniziarono a ridursi, mi ritrovai a riempire i week-end andando sempre più spesso in montagna, da solo o con qualche amico. Inizialmente non c’era la spinta dei trekking lunghi o delle vette più interessanti, mi ero semplicemente reso conto di essere incredibilmente tranquillo e rilassato ed in generale di stare bene.
Continuai a frequentare queste montagne in maniera lineare e passiva fino a quando non feci quell’attività che successivamente riconobbi come rito di iniziazione verso l’avventura e l’alpinismo.
Era l’ultimo weekend di Luglio e decisi di partire un venerdì sera una volta uscito dall’ufficio, per raggiungere la famosa Zoldo. Non avevo un progetto ben preciso in mente, sapevo solo che volevo passare il weekend lassù. Una volta arrivato piazzai la mia tenda canadese al cospetto del monte Civetta e fu proprio alzando lo sguardo ad esso che mi dissi: “Domani ci provo!”.
Avevo deciso, la vetta che mio padre aveva scalato diverse volte quando era più giovane e di cui avevo sentito tante, tantissime storie e curiosità la volevo vivere anche io.
Feci in modo di andare a dormire il prima possibile in quanto avevo intenzione di partire presto, e fissai la sveglia per le 5:30 di mattina, ancor prima dell’alba in quel periodo.
Quella notte però, riposai talmente bene che la mia sveglia non fu in grado di distrarmi dal sonno profondo, e così mi svegliai tardi, troppo tardi.
Avevo deciso, la vetta che mio padre aveva scalato diverse volte quando era più giovane e di cui avevo sentito tante, tantissime storie e curiosità la volevo vivere anche io.
Feci in modo di andare a dormire il prima possibile in quanto avevo intenzione di partire presto, e fissai la sveglia per le 5:30 di mattina, ancor prima dell’alba in quel periodo.
Quella notte però, riposai talmente bene che la mia sveglia non fu in grado di distrarmi dal sonno profondo, e così mi svegliai tardi, troppo tardi.
Il campanile del paese di Pecol suonò otto volte e mi svegliai di colpo. Ero talmente arrabbiato e deluso da me stesso che iniziai a pensare di essere andato così lontano per niente.
Uscendo dalla tenda però notando la cima del Civetta limpida, senza foschia e con un bellissimo cielo azzurro, decisi di partire lo stesso pensando che sarei andato “solo a fare l’avvicinamento”. In men che non si dica feci la colazione più lesta ma completa della mia vita, riempii la borraccia da due litri e ci misi anche dei sali minerali. Doveva essere tutto pronto per affrontare quasi 2000 metri di dislivello verticale.
Uscendo dalla tenda però notando la cima del Civetta limpida, senza foschia e con un bellissimo cielo azzurro, decisi di partire lo stesso pensando che sarei andato “solo a fare l’avvicinamento”. In men che non si dica feci la colazione più lesta ma completa della mia vita, riempii la borraccia da due litri e ci misi anche dei sali minerali. Doveva essere tutto pronto per affrontare quasi 2000 metri di dislivello verticale.
Ore 8:30 e con tre ore di ritardo iniziai a camminare lungo le pendici del monte.
Per la mia prima salita scelsi la Via Normale, in quanto era la più veloce e diretta per raggiungere la cima. Nutrito da un forte entusiasmo mi misi a camminare davvero veloce e ben presto mi ritrovai a varcare i limiti del bosco, dove rimane solo il pino mugo, con il suo inconfondibile odore. Di lì a poco superai anche quel limite e mi ritrovai nel ghiaione dove ormai la vegetazione era formata solo da poche distese erbose e molti fiorellini d’alta quota. La parete era davvero vicina e mi sembrava davvero grande, il cielo era ancora limpido e quindi continuai la mia salita verso il famoso “attacco della via” e lo raggiunsi. Sono bastati solo venti minuti per dar tempo ad una nube di formarsi e di inglobare l’intera parete. Mi ritrovai all’attacco della via che vedevo tutto grigio ed iniziai anche a sentire il freddo del sudore che ormai non veniva più scaldato dal sole.
Toccai la freddissima roccia ed un brivido mi fece spaventare. Ero solo e stavo facendo una cosa che ancora non avevo mai fatto. Non era un semplice hike ma una via normale d’alta quota. Un’altra cosa che mi preoccupò fu il fatto che non avessi ancora incontrato nessuno lungo il percorso e questo mi fece pensare di essere “l’unico idiota” ad affrontare così tardi quella via. Tuttavia guardai l’orologio ed il fatto che fossero passate solo due ore mi mise coraggio e pensai di potercela fare. Mi ricordavo un’unica cosa che mi aveva detto mio padre, ovvero iniziare a scendere dalla cima non più tardi delle 14:00 e allora continuai.
Mentre salivo era sempre tutto grigio e freddo ed il mio cuore batteva forte costringendomi a fare diverse pause per rifocillarmi. Strada facendo incontrai solo una persona: un uomo che stava scendendo perché aveva passato la notte in rifugio. Gli chiesi se fosse tutto ok lassù e se secondo lui potessi continuare e lui mi incoraggiò dicendo che con quel passo sarei arrivato ben presto. In effetti dopo poco più di un’oretta dall’attacco iniziai ad intravedere alcune parti della teleferica del rifugio, guardai con più attenzione e notai che era proprio la stazione di arrivo della teleferica!
“Che bello!” pensai, “ce l’ho fatta!”, “almeno sono arrivato al Torrani!”, Il famoso rifugio di cui tanti mi parlavano era lì nella nebbia fitta. Feci un saluto a Venturino De Bona, il grande alpinista che da molti anni gestisce quel rifugio, mi presentai e gli chiesi se mi consigliasse di proseguire verso la cima oppure no: “Si, vai!, su è bello, è sempre bellissimo!, poi torni qua e mi racconti di come ti è sembrato…”.
“Che bello!” pensai, “ce l’ho fatta!”, “almeno sono arrivato al Torrani!”, Il famoso rifugio di cui tanti mi parlavano era lì nella nebbia fitta. Feci un saluto a Venturino De Bona, il grande alpinista che da molti anni gestisce quel rifugio, mi presentai e gli chiesi se mi consigliasse di proseguire verso la cima oppure no: “Si, vai!, su è bello, è sempre bellissimo!, poi torni qua e mi racconti di come ti è sembrato…”.
Lasciai lo zaino al rifugio e con solo la borraccia iniziai l’ultimo tratto, la salita verso la cima! Ormai ero esausto ma con un fiatone da cane in mezz’ora iniziai ad intravedere la croce di ferro, c’ero quasi! A quel punto, una volta vista la croce tutti i timori di prima si trasformarono in gioia infinita ed immensa soddisfazione.
Feci gli ultimi venti passi per arrivare sulla cima vera e propria e iniziai a vedere il cielo azzurro sopra di me. Avevo capito che la nuvola che tanto mi spaventava era solo sul Civetta e che la forte verticalità delle sue rocce l’avevano imprigionata sul versante da cui salivo.
Non appena feci l’ultimo passo, quello che mi permise di vedere tutto ciò che il panorama offriva, mi successe una cosa che non ricordavo di aver mai vissuto così intensamente. Con una specie di esplosione emotiva, mentre ammiravo il panorama dai miei occhi iniziarono a cadere lacrime fitte e si formò un nodo in gola. Restai in silenzio girando intorno alla croce per forse un’ora intera. Quella sensazione che stavo provando era qualcosa di mai provato prima, una cosa talmente forte che anche ripensandoci mi capita di commuovermi. Iniziai a sentirmi infinitamente piccolo ed iniziai a pensare di essere davvero in un mondo spettacolare. Era mezzogiorno e stavo vivendo intensamente la mia esistenza.
Decisi di tornare giù. Feci sosta in rifugio per raccontare della mia esperienza e tornai verso valle. Intorno a metà pomeriggio raggiunsi il ghiaione e fu in quel momento che mi rasserenai del tutto. Ero ritornato nella mia Comfort Zone e pensai: “ce l’ho fatta!”.
Ecco, da quella giornata io mi sono innamorato della montagna, più di quanto non lo fossi già prima. Da quel momento la mia vita è cambiata, sono cambiate le mie abitudini ed i miei interessi. Iniziai a suonare di meno e mentre lavoravo pensavo costantemente a quel momento trascorso lassù. Pensavo di volerlo ripetere al più presto.
Da allora sono davvero tante le volte in cui ci sono tornato, ormai ho perso il conto! Una montagna come questa per me è ormai un luogo di culto per l'anima, un luogo dove devo andare almeno una volta all'anno. Fotograficamente poi, è davvero tutto uno spettacolo. Incredibile quanti spot si trovino semplicemente uscendo dal sentiero tracciato o anche sfruttando orari o periodi dell'anno diversi dal solito.
La via Ferrata degli Alleghesi
La via Ferrata degli Alleghesi, è una delle più famose vie attrezzate delle Dolomiti, seconda in quanto a lunghezza totale, bellissima in quanto ad esposizione e posizione. Si tratta di una via da affrontare in buona forma fisica e ottime condizioni meteo. La ferrata incomincia sullo sperone della punta Civetta, una delle due "spalle" che si possono vedere dal versante Zoldano della montagna e lo risale in verticale fino alla sommità della punta Civetta. Dopo di che ci porta sul crinale della cima, passando per la punta Tissi e per poi condurci direttamente alla croce di vetta, a 3220 metri. La ferrata è formata da molte scalette e tanti canali di roccia, solo uno di questi è molto impegnativo a livello muscolare. La difficoltà mediamente alta è data soprattutto dalla lunghezza della via ferrata (circa 900 metri di dislivello solo di ferrata) che normalmente dura dalle 3 alle 4 ore. Un punto importante da tenere a mente è che la Ferrata Alleghesi presenta diversi tratti senza cavo, alcuni di questi in cenge molto esposte, bisogna quindi essere certi di saper gestire una situazione del genere ed avere piedi molto sicuri. Nulla di impossibile eh, però bisogna tenerlo a mente, non è di certo una passeggiata! In realtà questi pezzi slegati sono molto divertenti e lasciano un'aria alpinistica a chi la percorre.
La via Ferrata Tissi
Itinerario di forte esposizione, una delle più antiche delle Dolomiti. Il suo percorso è ad oggi diverso dall'originale, in quanto ora si trova sulla parete rocciosa che conduce alla cima di Tomè. In passato si trovava un po' più a sinistra, nella giunzione tra la piccola civetta e la civetta bassa, risultava però pericolosa per le frequenti scariche di detriti rocciosi. Ferrata molto breve rispetto all'Alleghesi, che però non manca di emozioni verticali! Il modo migliore per godersela è (a mio parere) in discesa, nel pomeriggio, in quanto la sua esposizione la rende illuminata solo in quelle ore, eventualmente si potrebbe valutare di salirla nel pomeriggio per poi pernottare al Torrani. Il punto di forza di questa ferrata è senza dubbio il paesaggio selvaggio che domina sotto di essa. La Tissi infatti risale le pareti dell'anfiteatro roccioso del Van delle Sasse, uno dei posti più magici ed unici che ho visitato. Un grande prato ricco di mughi ed erba sottile circondato da sassi e ghiaia con all'esterno muraglie rocciose fa immaginare scenari fantastici. La ferrata presenta molti tratti verticali ma il cavo non si interrompe mai, salvo in alcuni tratti per niente pericolosi. Una volta giunti nel Van delle Sasse si può esplorare il suo scenario oppure ci si può dirigere verso l'omonima forcella per poi scendere di nuovo nel versante Zoldano.
Un po' di immagini E Video
In volo sulle torri del Civetta
Tante volte sono salito su questa montagna, di conseguenza conosco abbastanza bene la sua geografia. Tuttavia quella volta in cui io e Giovanni abbiamo raggiunto la Cima Coldai al tramonto, ed abbiamo alzato il drone, mi sono stupito, affascinato ed emozionato nuovamente. Quella sera ho deciso di mandare in "missione" il drone, dirigendolo verso le torri, approfittandone della differenza di quota non troppo elevata tra noi e le loro sommità. Quando dopo un paio di minuti il drone le ha raggiunte è stato interessantissimo! Vista da quell'angolazione impossibile da ottenere se non volando, l'intera Nord-Ovest è diventata ancora più imponente e la sua cresta, contrastata dal freddo blu proveniente dall'altro versante ha creato un gioco di colori estremamente piacevole.