La memoria è come una biblioteca in cui le informazioni vengono immagazzinate sotto forma di ricordi, in modo da poter essere facilmente accessibili anche dopo molto tempo. Proprio come i ricordi, i ghiacciai conservano informazioni preziose per la storia del nostro pianeta. Ogni inverno, infatti, informazioni sotto forma di neve e detriti vengono aggiunte allo strato esterno del ghiacciaio. Sono quindi la memoria degli inverni passati, la memoria delle nostre montagne.
Purtroppo nell'ultimo secolo il clima del pianeta ha cominciato a cambiare, mettendo seriamente in pericolo la sopravvivenza di questi ricordi naturali a causa di temperature sempre più elevate. È per questa ragione che ho deciso di dedicare parte del mio progetto fotografico ai ghiacciai: il mio intento è quello di mostrare attraverso le mie immagini questo elemento naturale talmente maestoso e meraviglioso, che stiamo rischiando di perdere per sempre.
Da quando ho iniziato a viaggiare, mi sono subito messo alla ricerca di forme mozzafiato, ovviamente in mezzo alla natura, e fin da subito alla vista dei miei primi ghiacciai ne sono rimasto affascinato. La morfologia del ghiaccio dà forme uniche e colori intensi. Quel blu forte e d'impatto che timidamente si illumina all'interno dei crepacci è una gioia per gli occhi.
Durante il mio primo viaggio in Islanda sono rimasto per ore a guardarli anche da lontano; da quel momento i ghiacciai sono diventati per me una passione.
Quindi mi sono interessato all'alpinismo invernale e ho iniziato ad imparare e sperimentare le tecniche e le manovre di sicurezza acquistando anche le attrezzature adeguate. Volevo vederne di più e tornare a vederle dopo anni.
Quest’estate sono tornato per la seconda volta in Islanda, questa volta con l’intento di addentrarmi maggiormente all’interno dei suoi giganti di ghiaccio.
Il primo ghiacciaio che abbiamo visitato si trovava nel parco nazionale del Vatnajokull, dove sorge l’omonima calotta glaciale, la calotta più vasta d’Europa, riconoscibile dagli aerei e dalla stazione spaziale internazionale per quanto è grande. Quel giorno abbiamo lasciato la macchina in uno spiazzo a bordo strada e abbiamo iniziato a camminare senza sentieri e senza troppe idee. L’unica meta era l'infinita colata di ghiaccio che vedevamo stagliarsi sull'orizzonte. In Islanda è davvero facile ritrovarsi nel nulla, non c’erano sentieri, solo muschio, tantissimo muschio, rocce e ghiaccio in lontananza. Dopo molto tempo abbiamo raggiunto il ghiaccio. Era enorme ma anche pericolosamente instabile. Ogni 15-20 minuti potevamo sentire la potenza di un grosso distacco di ghiaccio, era come un orologio che ci scandiva il tempo che passava. Oltre a questo, che normalmente è un fenomeno naturale dello scivolamento del ghiaccio, le condizioni non erano per niente sicure, i torrenti di scioglimento erano in piena e il ghiaccio era visibilmente bagnato. il terreno su cui poggiava era paludoso e abbiamo incontrato diverse pozze di fango dove si sprofondava fino alle ginocchia, come se fossimo su delle sabbie mobili. Quel giorno abbiamo quindi deciso di non tentare di salire sul ghiacciaio ma di esplorarne solo l’ambiente circostante.
Nei giorni successivi purtroppo il clima islandese ci ha costretti a molti cambi di programma. Abbiamo quindi aspettato di avere una finestra di bel tempo per poterci avventurare sul ghiaccio e abbiamo scelto di risalire la lingua di uscita del Solheimajokull, un ghiacciaio proveniente dalla seconda calotta glaciale islandese, il Myrdalsjokull, a sud dell’isola. Questo ghiacciaio lo avevo già visto due anni prima ed è stato impressionante notarne le differenze anche solo a distanza di due anni. E’ mattina, dopo una veloce colazione a base di thè caldo e due uova sode fatte nel bollitore, nel bagagliaio della macchina ci prepariamo per raggiungere l’attacco del ghiacciaio. Dopo circa mezz'ora di cammino il super ghiacciaio inizia a mostrarsi, lasciando evidente la sua enorme vastità.
Arrivati al ghiaccio, abbiamo cercato un punto di accesso che potesse fungere da rampa naturale per poter approcciare sul ghiaccio e senza troppi ostacoli siamo finalmente saliti sulla massa. Questi ghiacciai, di origine vulcanica sono diversi dai nostri dell’arco alpino proprio per la presenza di cenere magmatica molto scura che ne ricopre alcune parti della superficie. Questa cenere crea un contrasto davvero impattante con l’azzurro acceso del ghiaccio perenne, un dettaglio che da fotografo ho amato molto. Abbiamo risalito il ghiacciaio per diversi chilometri cercando di memorizzare la traccia di salita. Questa lingua di ghiaccio larga qualche centinaia di metri e le forme si ripetono schematicamente, rendendo difficile ricordare il proprio percorso. Arrivati nel mezzo del ghiacciaio ci siamo messi a cercare i crepacci più belli, come se fosse una caccia fotografica, erano bellissimi e avevano dei colori e delle forme veramente fotogeniche. Abbiamo proseguito per ore alla ricerca di queste fantastiche geometrie, nel mezzo di uno degli scenari più belli che la natura può offrirci. Siamo davvero grati di aver vissuto intensamente quella giornata, e in Islanda non sarà di certo l’ultima nostra avventura.